Lectio divina XIX° A
Dall’eucologia:
Antifona d’Ingresso Sal 73,20a.l9b.22a.23a
Sii fedele, Signore, alla tua alleanza,
non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri.
Sorgi, Signore, difendi la tua causa,
non dimenticare le suppliche di coloro che ti invocano.
Nell’antifona d’ingresso, tratta dal Sal 73,20a.l9b.22a.23a SC un lamento nazionale composto forse dopo la distruzione di Gerusalemme (587 a.C.) dove il popolo, una volta “gregge del Signore”, ora sconfitto, disperso e senza guida, non sente più attraverso i profeti la Parola di Dio, ma sperimenta solo il silenzio di Dio come conseguenza della propria idolatria. Nell’angoscia il popolo rivolge al Signore la supplica affinché tenga presente sempre la sua alleanza fedele, per la quale Egli si è impegnato in eterno a favore del popolo suo (105,45; Lv 26,44-43), come promise una volta per sempre ad Abramo (Gen 17,7.8; vedi anche 12,1-3), e confermò per bocca dei suoi santi Profeti (Gen 33,21) (v. 20a). Per questo si chiede ancora che non abbandoni mai le anime dei poveri "suoi", stretti a Lui dal vincolo dell’alleanza fedele (v. 19b; 9,17; 67,11). L’Orante si fa perfino più ardito nelle immagini. È come se il Signore dormisse, e perciò gli chiede di alzarsi, per pronunciare finalmente il verdetto nel tremendo giudizio instaurato dai nemici contro i suoi fedeli. L’Orante ricorda al Signore che in fondo questo processo contro i suoi fedeli in realtà è intentato contro di Lui, l’Alleato principale che forma una stretta comunità di vita con essi (v. 22a). Così non deve lasciar cadere nel vuoto e nella dimenticanza successiva la voce di quanti sinceramente e con ansia Lo cercano, e cercano solo Lui (v. 23a).
Noi oggi abbiamo la stessa angoscia, anche se l’attribuiamo “stoltamente” alle vicissitudini della nostra povera vita e per questo nella liturgia la Chiesa ci invita a pregare il Signore e ad ascoltare… il suo silenzio che ci istruisce e ci consola.
Canto all’Evangelo Sal 129,5
Alleluia, alleluia.
Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
Alleluia.
Nell’alleluia all’Evangelo (dal Sal 129,4c-5a, adattato, SI) ancora i fedeli pregano, e con il «De profundis», riaffermando che l’unica loro speranza sta nel Signore e nella sua Parola potente. Nella pagina evangelica attraverso il simbolismo del racconto, si indovina facilmente l’insegnamento che Matteo intende proporre. Sul mare ostile di questo mondo, la barca della Chiesa avanza in mezzo alle onde, esposta agli assalti del male. Il Signore non è nella barca: si attende il suo ritorno per la fine della notte. In questo intervallo di tempo, la Chiesa proseguirà il suo cammino verso il porto della salvezza soltanto se avrà fede nella parola potente del Signore Risorto. Anche dopo la risurrezione, la fede dei discepoli conosce molte incertezze: il loro cuore è attraversato dal dubbio e dalla paura di fronte a colui che scambiano per un fantasma (Lc 24,37). Nel personaggio di Pietro, con i suoi slanci e le sue debolezze, viene descritta la fede del discepolo-tipo: la nostra fede. Non potremo superare le nostre paure e i nostri dubbi se non volgendoci risolutamente verso il Cristo per obbedire ai suoi richiami. Soltanto allora potremo prostrarci davanti a lui e confessare la sua divinità.
Il ministero messianico del Figlio inviato dal Padre con lo Spirito Santo continua tra gli uomini in quella che è la vita pubblica del Signore. Il programma battesimale (annunciare l’Evangelo del Regno, compiere le opere della Carità del Regno, riportare tutti al culto salvifico del Padre) viene, giorno dopo giorno, adempiuto fino alla forma suprema che è la morte di Croce. La Croce è infatti il supremo annuncio dell’Evangelo del Regno; è la suprema opera di Carità del Regno; è il supremo culto reso al Padre. La Resurrezione è il divino sigillo dello Spirito Santo che il Padre imprime in eterno nell’Umanità glorificata del Figlio suo, il Signore nostro. Tenendo sempre presente tutto questo continuiamo la nostra "lectio" dell’Evangelo domenicale che è sempre parola rigenerante e divinizzante («essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna» 1 Pt 1,23) che ci investe per ricrearci suoi figli veri.
Nell’Evangelo di questa Domenica continua l’opera del Cristo con un’altro “segno” miracoloso: dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci (XVIII Dom. Tempo Ord.) Gesù continua a mostrarsi Re messianico (cui obbediscono gli elementi creati) camminando direttamente sopra le acque.
Il racconto è parallelamente presente, oltre che in Matteo, anche in Mc 6,45-52 e in Gv 6,16-21, non in Luca. E in tutti e tre gli evangeli il fatto segue immediatamente quello della moltiplicazione dei pani.
Nel racconto comune si avvertono echi tematici dall’Antico Testamento: a proposito del camminare di Dio sulle acque del mare (cfr. Sal 76(77),20; Gb 9,8) e soprattutto nella autopresentazione divina («sono io») spesso ricorrente -oltre che in Es 3,14 - nella teologia del Secondo Isaia (cfr. Is 43,10-13; 48,12).
Tuttavia, ognuna delle tre redazioni evangeliche ha curato una sua propria versione dell’evento. La differenza principale tra i primi due evangelisti sta nel ritratto che Matteo fa dei discepoli. Matteo ha inserito l’episodio di Pietro che cammina sulle acque (14,28-31). Inoltre, i discepoli matteani dalla manifestazione di Gesù deducono correttamente che egli è il Figlio di Dio (14,33), contrariamente ai discepoli marciani il cui cuore rimane indurito (Mc 6,51-52: «51E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati,52perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito»). Il punto essenziale di Mt 14,22-36 è un’epifania; vale a dire, la manifestazione di Gesù che fa quello che fa Dio (camminare sul mare e salvare quelli in pericolo di annegamento) e che adotta il linguaggio usato da Dio per parlare di se stesso («Sono io»). Pietro, come rappresentante dei Dodici, cerca di condividere con Gesù il suo potere e per un po’ ci riesce - solo fintanto che la sua fede rimane salda. Quando la «pochezza» della sua fede si manifesta, ha bisogno di essere salvato dall’annegamento da Gesù.
Ai due episodi principali fanno da cornice due scene geografiche: una che spiega come Gesù e i discepoli si siano separati (14,22-23) e una descrizione sintetica delle guarigioni operate da Gesù a Genèsaret (14,34-36). Il messaggio essenziale di Mt 14,22-36 per la comunità matteana riguarda l’identità di Gesù, che fa ciò che fa Dio e parla come Dio nella Bibbia. La manifestazione dell’identità di Gesù ai discepoli corrisponde a ciò che di lui pensavano e proclamavano i primi cristiani.
Quanto al racconto di Matteo possiamo inoltre distinguere quattro scene, ciascuna con un suo accento significativo, anche in ordine all’ascolto di fede:
- 22-23:centrale è la figura di Gesù, in tre singolari atteggiamenti successivi:
a) Egli costringe i discepoli ad affrontare la traversata notturna del mare di Tiberiade!
b) Quindi Gesù congeda la folla, con la quale egli aveva vissuto una intensa giornata di convivialità.
c) Ma più importante è la terza informazione dell’evangelista (in sinossi con Mc 6,46): Gesù sale sul monte, in disparte, a pregare... solo... fin sul finire della notte.
- 24-27:Gesù va verso i suoi discepoli camminando sulle acque del mare!
- 28-31:questa terza scena è soltanto di Matteo. Essa presenta in particolare il cammino di Pietro; il discepolo irruento e generoso ma dalla dura cervice e qui ancora indocile all’ascolto (nota che Matteo non usa il nome Simone (= docile all’ascolto) ma Pietro. L’episodio è rievocato con dettagli simbolici eloquenti. L’apostolo riceve il comando di camminare sul mare dal Signore stesso, ma poi rivela di essere ancora «uomo di poca fede». Matteo annota che «Gesù gli tende la mano» per afferrarlo e salvarlo: come in tante altre occasioni, l’evangelista fa guardare a quella mano tesa di Gesù, in soccorso dell’uomo (cfr. 8,14-15; 9,26;).
- 32-33:in quest’ultima scena che è di redazione tipicamente matteana si noti anzitutto la solenne finale professione di fede: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». Già altre volte tale sguardo sulla identità misteriosa di Cristo è attirato da Matteo: nella duplice teofania del battesimo di Gesù e della sua trasfigurazione («Questi è il Figlio mio, l’amato»: Mt 3,17; 17,5); a Cesarea di Filippo, da parte di Pietro («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»: Mt 16,16); e nella singolare dichiarazione nel momento della morte di Gesù, da parte «del centurione e di quelli che con lui facevano la guardia a Gesù» (dunque un credo coralmente professato!). Ossia, «Davvero costui era Figlio di Dio!» (27,54). Ebbene, la formula «di quelli che erano sulla barca» è ancora più piena e inequivocabile: anche perché dichiarata in ginocchio «prostrati davanti a lui».
I lettura: 1 Re 19,1-13
Il Signore mostra sul Monte Horeb, un altro nome per il Sinai, che è il Sovrano della creazione. Come una volta chiamò Mosè, adesso chiama Elia (vv. 5-8), che sale al monte e si pone in una grotta al riparo. E viene a lui la Parola del Signore (v. 9a), con l'avvertenza di uscire e di fermarsi alla divina Presenza. Vedi qui l'analogia con le parole rivolte a Mosè nell'occasione della sua teofania sul Horeb (Es 34,2). Il Signore allora passa, preceduto dalla tempesta (Ez 1,4), e dal terremoto. Ma non sta in essi (v. 11). Poi è preceduto dal fuoco, ma neppure qui sta (v. 12a). Ecco allora un soffio lieve (lett. : un rumore di silenzio sottile). Elia comprende che qui sta la divina Presenza (v. 12b), e come allora Mosè al Roveto (Es 3,6) si copre il volto, esce e sta in attesa. La Voce divina l'interpella: «Tu che fai qui?» (v. 13). Elia gli narra allora la sua vicenda dolorosa: l'alleanza divina abbandonata dal popolo, il culto divino andato ormai deserto, lui isolato e minacciato nella vita (19,1-2), per cui si sente ardere dal sacro zelo per il Signore (v. 14; Sal 68,18; Sir48,7).
La pericope mostra perciò la maestà del Signore, a cui obbediscono gli elementi creati, Egli che delle nubi fa il suo carro, che vola sulle ali dei venti, che dei venti fa i suoi messaggeri, e della fiamma di fuoco i suoi "liturghi" o ministri (Sal 103,3-4). Ma questa obbedienza è docile, sì che la teofania si pone anche come un'immensa visione, spiegata dalle parole. Perciò essa si pone come insegnamento per gli uomini.
Il Salmo responsoriale: 84,9ab-10.11-12.13-14, SC
Il Versetto responsorio: «Mostraci, Signore, la tua misericordia » (v. 8), è una splendida epiclesi, ripetuta a ogni versetto, con cui i fedeli chiedono al loro Signore la sua teofania della grazia, che provoca bontà e salvezza.
Questo Salmo, una «Supplica comunitaria», è visibilmente composto di due sezioni:
- i vv. 2-8, in cui prevale la supplica epicletica della comunità,
- i 10-14, in cui si prospetta la visione finale della salvezza.
Il v. 9 fa da necessaria cerniera. Qui di fatto la comunità sta raccolta a supplicare il suo Signore. E probabile che si stia svolgendo un sacrifìcio propiziatorio, seguito dal convito di comunione. I sacerdoti hanno proclamato la Legge del Signore e l'hanno anche dovutamente spiegata al loro popolo. Il Signore allora si degna di operare una teofania, manifestando così la sua Presenza e la sua Volontà. Allora prende la parola uno a nome della comunità: «Adesso io ascolto quanto parlerà il Signore!» Questo tratto si chiama "oracolo", presente diverse volte nei Salmi, e che esprime con formule come quella del Sal 19,6: «Adesso conosco!» Infatti durante la preghiera il Signore rivela qualche suo pensiero all'Orante. Questi percepisce ora, qui che il Signore ha solo parole di pace per il popolo della sua alleanza e per i santi, i fedeli dell'alleanza (v. 9; 121,8; Zacc 9,10; Ag 2,10). E in realtà, i santi sono i primi e i più docili all'ascolto (49,5; Dt 7,6). Adesso anzitutto la Parola annuncia che la salvezza divina sta ormai prossima per i timorati di Dio, quelli che vogliono eseguire tutta la sua Volontà con totale dedizione (144,18; Is 46,13). Così la divina Gloria verrà a dimorare di nuovo e per sempre nella loro patria (v. 10; Zacc 2,5). Si ha qui l'anticipo di una più mirabile Presenza, quella che sarà rivelata con l'Incarnazione (Gv 1,14). Ecco allora profilarsi il divino corteo. Anzitutto vengono la Grazia della misericordia (88,13; 39,12) e la Fedeltà, che procedono unite e verso il Signore (v. 11a). E precisamente dal Verbo Incarnato «noi ricevemmo il suo Plèròma, la sua Pienezza, e grazia su grazia» (Gv 1,16), poiché «la Grazia e la Fedeltà avvennero mediante Gesù Cristo» (Gv 1,17b). La seconda coppia è parallela e in certo senso omonima: la giustizia e la pace divine, doni messianici per eccellenza (Is 32,15.17, dono dello Spirito del Signore; Sal 71,3, dono del Re messianico; Ef 2,13-17, dono finale di Cristo) (v. 11b). Ora, la terra stessa dal Signore è resa feconda, e farà germogliare la Fedeltà, mentre Egli invierà la sua Giustizia dal cielo della sua dimora (v. 12), come era stato promesso (Is 45,8; Sal 96,6).
Così il Signore mostra e dona la sua Bontà dal cielo, mentre farà scaturire dalla terra degli uomini il loro migliore frutto, il Re messianico, nel segno della terra pacificata, ridistribuita (Lev 25,19, il Giubileo) e resa feconda (Sal 66,7) (v. 13). Verrà il Signore stesso a visitare il suo popolo, preceduto dalla sua Giustizia Misericordia (88,15; Is 32,12; 58,8), che a Lui mostra i passi, eccellente divina staffetta che prepara il corteo regale al Sovrano del mondo (v. 14).
Esaminiamo il brano
v. 22 - «ordinò ai discepoli»: lett. costrinse i discepoli a precederlo sull’altra riva. Il motivo non è spiegato, ma può essere desunto dal parallelo con Gv 6,15, le folle volevano impadronirsene per farlo re. La considerazione che la folla ha di Gesù è quella di un re mondano, lo ritengono capace di operare prodigi ma questi prodigi sono compresi solo come prodigi umani. È il fallimento del Disegno divino che prevede la Croce per la Resurrezione. Matteo segue Marco nel creare attorno a Gesù e ai discepoli un’atmosfera marcatamente emotiva, con Gesù al comando della situazione. Matteo tralascia il nome della destinazione presente in Marco («verso Betsaida»), sulla sponda nord-orientale del Mare di Galilea, probabilmente perché poi finiscono col ritrovarsi a Genèsaret, sulla sponda nord-occidentale, a sud di Cafarnao (vedi Mt 14,34).
v. 23 - «salì sul monte a pregare»: spesso Gesù si raccoglie a pregare fino alla sera; in specie Luca scrive che Gesù pregava molto (3,21; 3,16; 6,12; 9,18.28 ecc.) fino alla Cena, al Getsemani, alla Croce. Il termine greco oros può essere un monte o una collina. È improbabile che qui il termine abbia una valenza simbolica (a differenza di Mt 5,1). La traduzione «collina» sarebbe più appropriata per la configurazione orografica attorno al Mare di Galilea.
Matteo fa pochi accenni alla preghiera di Gesù in confronto con gli altri evangelisti. A parte le istruzioni sulla preghiera date in Mt 6,5-15, questa è la prima volta che Matteo mostra Gesù in preghiera. È solo nella pericope del Getsemani che possiamo farci un’idea del contenuto della preghiera di Gesù e dei suoi rapporti con il Padre (vedi Mt 26,36-46).
«in disparte… da solo»: Matteo aggiunge di suo due piccole sfumature, con cui precisa che Gesù era «in disparte» (kat’idìan) e se ne «stava da solo» (mónos ên). L’evangelista vuole così sottolineare il desiderio di solitudine provato dal maestro in quella circostanza. Ricordiamo che l’episodio precedente era iniziato in seguito alla tragica notizia dell’uccisione del Battista: mosso dal desiderio di stare un po’ solo, Gesù aveva pensato di recarsi nella zona disabitata dell’attuale Golan, ma la folla lo precedette, impedendogli di trovare tranquillità e ritiro spirituale. Gesù accolse quella gente con compassione e verso sera nutrì in modo prodigioso tutti quelli che erano accorsi a lui; ma poi proprio non ne potè più e mandò via anche i suoi discepoli. Gli evangelisti presentano Gesù come un uomo equilibrato e maturo, capace di stare con gli altri e capace di stare con se stesso; non rifugge il contatto con le persone per chiudersi nell’isolamento; ma, neppure, si lascia dominare dalle attività, dimenticando la vita interiore e tralasciando la relazione profonda con il Padre. In particolare questa occasione è stata ricordata come momento di intensa orazione personale di Gesù: la morte di Giovanni deve aver spalancato anche davanti a lui la drammatica prospettiva di una imminente fine violenta, se ne rende conto e vuole parlarne col Padre. Con grande finezza gli apostoli, che non erano presenti, hanno conservato la memoria dell’intenso desiderio di preghiera provato da Gesù, senza sollevare il velo sull’intima relazione del Figlio con il Padre.
v. 24 - «qualche miglio»: lett. molti stadi. Lo stadio misura circa 185 metri. In quel punto il Mare di Galilea ha una larghezza di circa 7 km. Secondo Marco 6,47 la barca si trovava «in mezzo al mare», anche se questo non deve essere preso alla lettera. Ciò che probabilmente il racconto vuole sottolineare è la notevole distanza che separava Gesù dai discepoli.
«la barca...era agitata dalle onde»: Una tempesta in un lago risulta essere improvvisa e terribile più che nel mare. I discepoli sono come si dice... in balia delle onde. Qui il participio «agitata» in gr basanizòmenon
[1] In senso fisico o materiale cf Mt 8,6; Ap 12,2 (travaglio del parto); Ap 9,5 (tortura). In senso psicologico o spirituale cf 2 Pt 2,8.